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Un angelo su Youtube

Breve intervista televisiva in cui presento il mio romanzo Di me diranno che ho ucciso un angelo, edito da Rizzoli.

 

…e con questo sarò riuscita finalmente a rovinarmi la reputazione? 😛

Agave

“Scrivere è il piacere profondo; essere letti è quello superficiale.”

Virginia Woolf

Ho sempre pensato che la somma Virginia avesse ragione anche questa volta, ma negli ultimi giorni, imbattendomi nelle prime, incantevoli recensioni al mio romanzo, mi accorgo che sì, scrivere è un piacere profondo, ma essere letta è una profonda condivisione.
Ed è un’esperienza ugualmente preziosa e unica.

Grazie a tutti quelli che hanno ucciso il mio angelo.

Agave

Di me diranno che ho ucciso un angelo

Vi presento il mio romanzo d’esordio.

«La donna aprì il libro, indicò qualcosa e disse: “A” poi lo guardò. L’angelo non capì. Lei indicò di nuovo il segno e disse: “A” e lo guardò ancora. Lui riuscì a capire. Aprì la bocca e riuscì a ripetere: «A.»
Gli occhi della donna si illuminarono: “La tua voce. È così bella. È musica. Ti prego, parlami ancora.”
L’angelo non capì, ma capì quando gli indicò la lettera b e gli fece dire: “B” e quando gli indicò la parola “porta”, gli indicò la porta della propria casa e gli fece dire: “Porta.”
Prima di imparare a vivere, l’angelo capì che avrebbe dovuto imparare a leggere.
Forse qualcuno potrebbe sorridere di questo.»

Dalla pagina di facebook

Rizzoli ragazzi:

Ci fa sognare, ci illude, ci toglie il sonno, ci ruba il cuore e a volte, purtroppo, lo spezza. L’Amore è un sentimento complesso, guidato da logiche spesso inspiegabili. E se è difficile comprenderne i meccanismi per noi umani, immaginiamo quanto possa risultare incomprensibile agli occhi di un angelo caduto sulla terra, che di sentimenti non sa ancora nulla. Esce oggi in libreria il romanzo d’esordio di una giovanissima scrittrice, Gisella Laterza. Un libro che mi ha emozionata fin dal titolo. Un percorso alla scoperta dell’amore in tutte le sue declinazioni. Lasciatevi guidare.

Trama

È quasi l’alba.
Aurora, di ritorno da una festa, sta per addormentarsi sul tram che la porta a casa. All’improvviso, un giovane sconosciuto e bellissimo le rivolge la parola, e le chiede una cosa strana: vuole sapere come diventare un essere umano, poiché, nonostante abbia viaggiato tanto, non l’ha ancora capito.
Aurora, dopo un iniziale smarrimento, gli risponde che il primo passo per far diventare reale una storia è raccontarla a qualcuno. Così lo sconosciuto comincia a raccontarla a lei.

Lo sconosciuto è un angelo.
Gli angeli, nel romanzo, sono stelle, creature che vivono appese nel cielo, al di fuori del tempo, e contemplano la terra. A un certo punto, l’angelo della nostra storia incrocia lo sguardo di una demone, e se ne innamora. Preso dal desiderio di raggiungerla, cade nel mondo degli umani.

Sente, però, che lui e la demone sono troppo diversi per raggiungersi davvero, e così comincia un viaggio per diventare uomo. Lei, nel frattempo, senza che lui lo sappia, comincia un viaggio per diventare una donna.
Lungo le loro diverse strade, l’angelo e la demone incontrano personaggi molto distanti fra loro, ma accomunati da un intreccio di malinconia, solitudine e desiderio che sembra legare tutti gli esseri umani…

Agave

[Recensione] Il linguaggio segreto dei fiori, di Vanessa Diffenbaugh

«Restammo a lungo aggrappati l’uno all’altra come se stessimo affogando, ma senza cercare la riva, in silenzio, respirando a malapena.»

Vanessa Diffenbaugh, Il linguaggio segreto dei fiori, Garzanti, 2012

Victoria ha paura e non sa esprimere i propri sentimenti, se non attraverso i fiori.
Victoria ha paura perché è stata abbandonata alla nascita. Affidata ai servizi sociali, è stata sballottata da una famiglia all’altra, da una casa dell’accoglienza all’altra. Fino ai diciotto anni, quando è obbligata a essere libera, a costruirsi una vita con le proprie forze.
Ma una nuova vita, per chi non è mai stato amato e si sente solo e senza radici, è difficile da creare. Per fortuna c’è la fiorista Renata, che assume Victoria dopo che la protagonista le prova il suo talento.

«Quando ebbi finito, una spirale di crisantemi bianchi si ergeva da un cuscino di verbena color neve e grappoli di pallide rose rampicanti scendevano a cerchio dal piccolo mazzo stretto nel nastro di raso. Tolsi tutte le spine. Il mazzo era bianco come un bouquet da sposa e parlava di verità, di preghiera e di un cuore acerbo. Ma nessuno lo avrebbe capito.
[…]
“Cos’è?”, chiese.
“La mia esperienza”, risposi porgendole i fiori.»

E lavorando per Renata, Victoria incontra un ragazzo. Ha l’aria forte e profuma di fiori e terra. Viene dal passato di Victoria, anche se lei ancora non lo sa, e creerà un ponte tra il passato e il presente della ragazza, ponendo le basi per un futuro possibile.

immagine recensioni

Il racconto procede tra il piano del presente, con Victoria diciottenne, e la storia del suo ultimo tentativo, nove anni prima, di essere adottata da parte di una donna: Elizabeth.
È stata Elizabeth la prima a dare una voce ai sentimenti torbidi di quella bambina spaventata, insegnandole il linguaggio segreto dei fiori.
Cosa è accaduto? Perché Victoria non è rimasta con Elizabeth?

La risposta è solo verso il finale, e l’alternarsi del passato e del presente crea una suspance che al tempo stesso trascina e permette di conoscere i personaggi a un livello più profondo.
E si scopre che tutti sono segnati da ferite invisibili, non cicatrizzate per i troppi conflitti e il troppo rancore; e la rosa gialla (la gelosia e l’infedeltà) sembra una barriera che neanche a distanza di anni si può superare.
Eppure un cambiamento è possibile anche per Victoria.
Perché esiste qualcuno in grado di starle accanto pur rispettandone la solitudine.
E perché esiste un tipo di amore, l’amore materno, incondizionato e incancellabile, capace di crescere dal nulla, inaspettato come un fiore senza radici.

Agave

Una nota sul linguaggio dei fiori

Sono stata attratta da questo libro perché a me, come a Victoria, piace indagare il significato dei fiori, nascosto e invisibile ai più.
Quando ho dovuto scegliere un nome per il blog, ho scelto Agave per il suo messaggio nel linguaggio dei fiori. Cercatelo, se siete curiosi. Ne troverete molti, ma come dice Elizabeth, in realtà ogni fiore ha uno e un solo significato.

[Recensione] La punizione del romanzo, di Danila Passerini

«”Potresti essere spedito in un romanzo, a imparare come ci si deve comportare.”»

Danila Passerini, La punizione del romanzo, L’Erudita (2013)

Filippo ha sedici anni, un carattere ribelle, capelli lunghi e magliette sbiadite che non riesce a buttare via. La scuola è piena di luoghi comuni soprattutto da quando, dopo la Terza guerra mondiale, tutti si sono messi in testa che bisogna spendere la propria vita per gli altri, essere compassionevoli, buoni. E lui, il più bello della scuola, non ci sta. Ogni compagno è bersaglio di frecciatine non troppo velate e battute taglienti, un po’ per colpire i deboli, un po’ per non svelare la propria personalità e le proprie passioni amorose rivolte all’unica che non sembra subire il fascino del bello e cattivo. Ma la scuola è un luogo di formazione non solo didattica ma anche caratteriale e morale, la cui missione è accompagnare nella crescita i ragazzi perché diventino adulti colti sì, ma soprattutto critici, coscienziosi, consapevoli. E allora non rimane da fare che una cosa: punirlo. Quale castigo sarebbe più adatto per lui della punizione del romanzo? Filippo entrerà in un libro, vestendo i panni di un personaggio, e il suo scopo sarà quello di vivere la sua nuova vita senza cambiarne la trama, pena il non ritorno. Ma cosa succede quando Filippo si rende conto che il romanzo in cui è finito è proprio l’odiato I Promessi Sposi? E se il destino, o meglio la Preside, lo ha portato a indossare i panni di Don Rodrigo, riuscirà veramente a far la parte del cattivo?

immagine recensioni

Il romanzo è diviso in due parti. La seconda, con Filippo nei panni di Don Rodrigo, è più scorrevole (e alcune trovate sono quasi geniali), mentre nella prima si può notare qualche piccolo intoppo.

C’è soprattutto nei primi capitoli la tendenza a spiegare il funzionamento del mondo nel 2041, mentre forse sarebbe più coinvolgente ridurre le parti di spiegazione dettagliata e mostrare che cosa rende quel mondo diverso dal nostro.
Sono, infatti, bellissimi i momenti in cui, da lettori, possiamo guardare il 2041, sentendoci catapultati in quella Bologna ipertecnologica, dove, ad esempio a scuola si fa lezione proiettando ologrammi. A proposito, bella, anche se intrisa di amara ironia, l’ora di storia:

«Per fortuna la lezione di oggi non è per nulla tragica, anzi è molto divertente: sono piombati nel 2001 e l’omino, che si ingegna a promettere il migliore dei mondi possibili, sarebbe poi diventato Presidente del Consiglio, riuscendo a non mantenere quasi nulla di quanto aveva garantito e sottoscritto.»

Come accennato prima, il romanzo diventa più scorrevole e intrigante quando Filippo viene spedito nei Promessi sposi.
Il lettore si sente calato nel punto di vista del ragazzo, obbligato a capire un mondo che non è il suo, ma che è qui ritratto così realisticamente da sembrare reale.
Le avventure di Filippo affascinano e avvincono come quelle di Bastian nella Storia infinita, con la differenza fondamentale, e geniale cardine della narrazione, che Filippo è chiamato a interpretare il ruolo del cattivo.
Dopo un iniziale disorientamento iniziale, Filippo crede di trovarsi bene nei panni del crudele Don Rodrigo, ma essere cattivi è davvero così facile?

Parlando dello stile, l’autrice adotta una soluzione che, personalmente, non mi ha convinto (ma non si tratta di un difetto stilistico assoluto, quanto piuttosto del mio gusto personale).
Ad esempio, nel primo capitolo, la descrizione di una debole compagna di classe, vittima di Filippo, è presentata attraverso gli occhi del bulletto, mentre di Eleonora, amata segretamente dal protagonista, leggiamo una frase come:

«in lei indugia ancora la morbidezza di un’infanzia a pane e nutella.»

Un’espressione molto felice, ma contrastante con il punto di vista insofferente e rancoroso di Filippo, che invece è dominante in tutto il capitolo. C’è quindi, in questo passo come, a volte, nel resto del romanzo, un’intrusione inaspettata dell’autrice, la quale, un po’ manzonianamente, fa sentire la propria presenza.

Una qualità stilistica molto positiva è invece l’ironia, che agisce sia nella prima parte (con allusioni alla nostra epoca), che nella seconda (il lettore comprende situazioni che Filippo non afferra, causando momenti di involontaria comicità).
L’autrice, insomma, strizza l’occhio al lettore, regalandogli passi deliziosi, come il dialogo tra Don Rodrigo/Filippo e il cugino Attilio sulla nobiltà.

«Filippo: “Ah sì? Sai che, secondo me, verrà un tempo in cui tutti lavoreranno? E ti dirò di più: in quell’epoca un uomo sarà giudicato anche per il lavoro che si sarà scelto. La sua realizzazione come essere umano dipenderà in gran parte dalla sua professione.”
“Certo! E l’uomo imparerà a volare e andrà sulla luna!”
“Ci hai preso, ragazzo!”»

In conclusione, La punizione del romanzo è un libro gradevole, che si legge velocemente ed è consigliato a tutti i ragazzi: offre spunti interessanti e un nuovo modo di vedere il capolavoro del Manzoni, un’opera così nota ma non così apprezzata come dovrebbe essere.
La prima parte della Punizione del romanzo poteva essere ampliata, forse fino a raggiungere la stessa lunghezza della seconda, insistendo di più sui parallelismi tra il mondo di Filippo e la Lombardia del ‘600. Perché I promessi sposi sono un romanzo attuale, in stretto dialogo con il nostro presente, come anche un ragazzo come Filippo sarà costretto a scoprire.

Agave

[Recensione] L’incanto di cenere, di Laura MacLem

«La sua mente era piena di cenere. Se teneva le palpebre ben serrate c’era un po’ di cristallo che luccicava in fondo, ma era poco, e la cenere lo rendeva opaco.»

L’incanto di cenere, di Laura MacLem,  Asengard (2013)

Dimenticate la dolce fanciulla dai capelli d’oro che singhiozza sommessamente accanto al fuoco, mentre le cattive sorellastre infieriscono su di lei.
Ne L’incanto di cenere, Cenerentola (che qui ha nome Christelle) è la figlia di un nobile conte e di una strega. Sua madre è arsa sul rogo anni prima, ma Christelle è decisa a portare a termine un antico patto di cenere e sangue.
È Genevieve, la sua sorellastra, protagonista positiva del romanzo, che tenterà di impedirglielo in una trama dal ritmo trascinante che mescola con maestria elementi fiabeschi e horror.

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L’ambientazione è quella delle fiabe: la leggiadra Francia del ‘700, dove tutto ciò che conta per una fanciulla di buona famiglia è saper essere gentile e evitare di finire strizzata dal proprio corsetto. Lo stile dell’autrice, che rispecchia a volte la parlata di sapore arcaico dei suoi personaggi, contribuisce a creare una perfetta atmosfera da sogno.

«Genevieve non resistette alla tentazione di voltarsi un’altra volta per guardare il vestito, il suo vestito. Era bellissimo. […] Ma il tocco di classe che rendeva quell’abito tanto bello era il corpetto, ricamato con decine e decine di brillantini luccicanti, piccoli come chicchi d’orzo. Si stringevano in vita e poi scendevano lungo i fianchi, come una cascata di cristallo.»

A questa atmosfera delicata e preziosa si intreccia, imprevedibile, l’orrore.
E forse è la descrizione delle scene più inquietanti ciò che riesce meglio all’autrice. Attraverso gli occhi affascinati e terrorizzati di Genevieve, anche il lettore sarà intrigato dalle descrizioni gotiche e spaventose sì, ma da cui non è possibile distogliere lo sguardo.

«Invece rimase dov’era, affascinata da quella strana cosa, un po’ oggetto e un po’ essere vivente, che si muoveva su lunghe zampe simili a quelle dei ragni, una grande bolla bulbosa che sfrecciava nella notte, così arancione che era visibile perfino sotto la luce anemica della luna, trainata da corpi enormi, giganteschi, che ricordavano nella forma dei topi, strani ratti che si contorcevano per il dolore e che, per sfuggire a esso, si slanciavano in avanti, agitando le zampe, mutate in enormi ali rivestite da membrane.»

Parlando, invece, dei personaggi, un elemento da segnalare è la caratterizzazione dei personaggi femminili, mentre gli uomini della storia vengono lasciati in secondo piano. È una soluzione che ricorda, forse, le sacerdotesse di Marion Zimmer Bradley, soprattutto se si ha presente la dea pagana di Avalon. Madre e al tempo stesso distruttrice, la Dea è molto potente anche ne L’incanto di cenere, mentre la forza del dio cristiano, qui come nei romanzi della Bradley, è messa in discussione.
Un confronto quasi impietoso, quindi, tra le capacità delle donne e l’inettitudine degli uomini. Confronto che, però, a contrario della saga di Avalon, risulta evidente senza essere irritante.
La vicenda oscura, infatti, parte dalle donne e solo una donna può, coerentemente, porvi rimedio.

«“Ma c’è un’altra magia, ancora più importante, ancora più potente e per questo ancora più odiata dai preti di Dio. Perché loro non ce l’hanno, capite?”
“E qual è?”
“Essere una donna, mademoiselle. Essere il Suo volto, essere chi dà la vita. Allora si può essere chi la toglie, perché quello è l’altro aspetto, e nessuno può impedirvelo, se lo fate nel modo giusto.”»

Infatti, Genevieve può tentare di opporsi a Christelle per un motivo. Apparentemente opposte come il Bene e il Male, la protagonista e l’antagonista sono accomunate da qualcosa: la madre di Genevieve è stata nutrice di Christelle. Sono, quindi, come sorelle: hanno qualcosa di simile. E hanno entrambe qualcosa di potente.
Come tutte le donne.

Agave

L’affascinante Athos e quell’idiota di d’Artagnan

«Non temete le opportunità e cercate le avventure.»

Immergendosi nel mondo entusiasmante de I tre moschettieri, ci si imbatte in personaggi rissosi, attaccabrighe, scavezzacollo, irrequieti e tempestosi, un po’ vigliacchi o assolutamente incapaci di trattenersi di fronte a una rissa da taverna. O, come quell’idiota di d’Artagnan, incapaci di stare calmi davanti a un bianco braccio femminile intravisto di sfuggita, come in sogno.

In questa marea di volti indimenticabili, uno su tutti emerge dall’inchiostro come se fosse una persona viva: Athos, il moschettiere dal carattere ruvido, dal silenzio ostinato e dalla sbronza facile.

«La vita è un rosario di piccole miserie che il filosofo sgrana ridendo.
Siate filosofi con me, signori, mettetevi a tavola e beviamo; nulla fa sembrare roseo il futuro come guardarlo attraverso un bicchiere di chambertin.»

È Athos il vero protagonista del romanzo, l’uomo che suggella ogni scena con una frase epica (come quella riportata qui sopra), il vero motore dell’azione (anche se, inspiegabilmente, d’Artagnan si prende tutto il merito).
Athos è, inoltre, un personaggio complesso, mentre gli altri moschettieri sembrano presentare un solo tratto caratteriale, spesso affine o in antitesi con un aspetto di Athos. Infatti, Aramis è un dongiovanni spretato mentre Athos ha amato un’unica donna nella sua vita; Porthos si atteggia a nobiluomo mentre Athos, che nobile lo è realmente, tenta in tutti i modi di nasconderlo; d’Artagnan è un avventato attaccabrighe… esattamente come Athos.

Vorrei soffermarmi sul rapporto tra Athos e d’Artagnan.
Athos tratta il giovane come un padre tratterebbe il figlio, un padre che si riconosce nel figlio e vuole stargli accanto, lasciandolo però libero di agire, e di sbagliare.

«Athos era del parere che bisognava lasciare ad ognuno la sua libera scelta. Non dava mai consigli senza esserne richiesto e bisognava anche chiederglieli due volte. In generale -egli diceva- i consigli si chiedono soltanto per non seguirli, o, se si sono seguiti, per avere qualcuno a cui poter rimproverare d’averli dati.»

Athos rivede se stesso in d’Artagnan e i due sono così simili che Alexandre Dumas può giocare al gioco degli scambi, come viene espresso in un divertente dialogo tra Athos e il commissario agli ordini di Richelieu, quando il nostro moschettiere si fa catturare al posto del d’Artagnan, spacciandosi per lui per metterlo in salvo.

«“Il vostro nome?’” chiese il commissario.
“Athos.” […]
Ma avete detto di chiamarvi d’Artagnan.”
‘Io?”
‘Sì, voi.”
‘Non è esatto. Hanno detto a me: Voi siete il signor d’Artagnan. Io ho risposto: Credete?. Le guardie hanno strillato che ne erano certe e io non ho voluto contrariarle. D’altronde avrei potuto ingannarmi.”»

Ma c’è di più. Come Athos vede se stesso in d’Artagnan, così sembra che Alexandre Dumas veda se stesso sia in d’Artagnan che in Athos.
Leggendo i dialoghi tra d’Artagnan e Athos, ho avuto, infatti, l’impressione che Dumas faccia ‘dialogare’ ciò che era da giovane con l’uomo che è diventato: Athos guarda d’Artagnan con lo sguardo indulgente che Dumas riserva alla propria giovinezza. Il lato più maturo e disincantato dello scrittore (Athos) guarda al suo lato più infantile e focoso (d’Artagnan) con affetto e addirittura subendone il fascino. Come se, anche da uomo maturo, Dumas volesse ancora sentirsi come quando aveva vent’anni e non aveva paura di nulla, quando afferrava la vita senza farsi domande, prendendola con passione, tuffandosi con impeto.
È infatti Athos ad esclamare:

«Andiamo a farci ammazzare là dove ci dicono di andare! La vita merita forse tutte queste domande? D’Artagnan, sono pronto a seguirvi!»

Agave

Immagine

Un’immagine

” L’immagine della persona amata

lovelove1

cambia continuamente

lovelove2

e da essere immagine

lovelove3

diventa un senso.”

lovelove4

(Virginia Woolf)

Le prime volte è un’antologia curata da Mondoscrittura in cui è presente anche il mio racconto Fantasmi e calze a rete.

Con piacere vi invito a partecipare all’incontro virtuale con tutti gli autori di questa antologia. L’appuntamento è su facebook, in data 6 febbraio, alle ore 20.30.

I dettagli qui: Il chi, il come, il quando e il perché dei quindici de “Le prime volte”

Partecipate numerosi. 😉

Agave

Link

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